Di lutto perinatale si parla troppo poco in Italia, nonostante sia un evento che coinvolge circa una donna su sei. Le famiglie colpite devono spesso fare i conti con tanta superficialità e con la sensazione di essere giudicate quando cercano di trovare una via per elaborare il loro dolore. Quasi che si trattasse di una perdita meno terribile di altre.

Il lutto non tiene conto delle settimane di gestazione, delle dimensioni o del peso e può essere difficile spiegare, agli altri e a te stessa, che hai perso il tuo bambino, anche se non era ancora nato.

Se stai vivendo una situazione così difficile, forse non sai come comportarti davanti a tanta sofferenza. Molte persone nella tua condizione sono in qualche modo sorprese nello scoprire quanto è profonda la sensazione di mancanza che segue questa perdita e non riescono a spiegare quello che provano.

Per te potrebbe inoltre essere faticoso leggere negli occhi della gente che, a detta loro, non dovresti sentire tutto questo dolore per un bambino che non hai mai tenuto in braccio. Potresti non trovare nelle persone che ti circondano la comprensione e il supporto di cui avresti bisogno.

Purtroppo qui in Italia la morte è un tabù. Lo è in senso generale e ancora di più quando si tratta di un lutto così delicato come quello che stai vivendo. Non siamo culturalmente abituati a concepire il dolore come parte della vita.

Una persona che soffre, per molti, è una persona con cui è difficile interagire, perché si teme di fare degli errori e di acuire la pena invece di alleviarla.

Ecco perché la mentalità predominante nel nostro Paese ci dice che bisogna “reagire al dolore”, “andare avanti”, “farsi forza” ecc… Chi ha accanto a sé una persona cara che soffre, sviluppa di riflesso (comprensibilmente, da un certo punto di vista) il desiderio di farla stare meglio nel più breve tempo possibile e a tutti i costi.

Ci si dimentica troppo spesso che il lutto è prima di tutto un diritto.

Hai perso tuo figlio e hai tutte le ragioni per stare male, è importante che tu viva questa pena con i tuoi modi e i tuoi tempi. Se in questo momento provi un miscuglio di sentimenti, come dolore, tristezza, senso di colpa, solitudine, malinconia, vergogna, o una grande rabbia verso i medici e persino verso il tuo partner, non temere.

Non ci sono modi giusti e modi sbagliati di vivere il lutto, l’importante è che tu sappia che quello che provi è del tutto naturale. Non lo dico solo io, ma lo dice la scienza perché è dimostrato che dal momento del concepimento si crea un legame fisico, ma anche psicologico ed emotivo con il bambino.

Anche se non hai avuto l’opportunità di vederlo nascere e di passare del tempo con lui/lei, fa parte a tutti gli effetti della tua famiglia e non devi provare sensi di colpa se hai voglia di piangere e celebrare la sua, seppur breve, vita dentro di te.

Molto spesso si considera la morte perinatale (o in generale la morte di un figlio) come un evento innaturale. Si pensa che nell’ordine naturale delle cose i genitori debbano sempre morire prima dei figli. Purtroppo succede anche il contrario, molto più spesso di quanto non si creda.

Secondo lo studio Ending Preventable Stillbirths, scritto grazie alla collaborazione di 216 autori in rappresentanza di oltre 100 organizzazioni in oltre 40 paesi e presentato in Italia dall’associazione Ciao Lapo Onlus: “ogni anno nel mondo avvengono circa 2,6 milioni di morti in utero, il 98% nei paesi a basso e medio sviluppo. In Italia il tasso di morte in utero è stabile intorno al 3 su mille, una gravidanza su 350 circa, 6 casi al giorno”.

Ciò nonostante, qui in Italia non c’è una normativa completa che descrive cosa fare per dare l’ultimo saluto a un bambino non ancora nato. Non viene riconosciuto come “persona” e quindi ogni regione gestisce la sepoltura in modo diverso, un po’ a casaccio come spesso avviene nel nostro Paese.

È probabile che nessuno ti abbia spiegato la procedura per presentare la richiesta alla ASL, oppure che ti abbiano dato informazioni frammentarie o parziali. In molti casi, per scarsa sensibilità o per ignoranza delle procedure, si dà per scontato che sia la struttura sanitaria a occuparsi del corpicino, perché in quel momento i genitori non sono abbastanza lucidi.

Devo ammettere inoltre, a malincuore, che tanti miei “colleghi”, titolari di imprese funebri non sono preparati a prendersi cura delle spoglie dei più piccoli, soprattutto quando la morte avviene nel primo trimestre di gravidanza. Potresti incontrare persone che sminuiscono la tua perdita e che non sanno aiutarti come meriti.

Non voglio suggerirti cosa fare, qualunque scelta farai sarà giusta perché solo tu puoi sapere cosa provi e come vuoi vivere il tuo percorso attraverso il lutto. Tuttavia, se posso darti un consiglio, vorrei che decidessi ascoltando il tuo cuore e non quello che dicono, seppur con le migliori intenzioni, le persone che ti circondano.

I tabù sull’argomento spesso portano i familiari, gli amici e i medici stessi a impedire ai genitori di organizzare il loro congedo dal bambino, perché pensano che occuparsi della sepoltura sia una sofferenza inutile.

Dalla mia esperienza (oltre vent’anni trascorsi accanto alle famiglie che stanno vivendo il lutto), posso dirti che non è così. Se vuoi dare l’ultimo saluto al tuo bambino questo può aiutarti a vivere questo dolore in modo più dolce.

Come esseri umani spesso abbiamo bisogno di gesti e di riti per esprimere tutto ciò che non riusciamo a dire con le parole.

A questo proposito voglio farti leggere una testimonianza:

“Il tempo che ho impiegato nell’organizzare la sepoltura delle mie figlie, le azioni che ho compiuto per poterla svolgere, come contattare la ASL, l’agenzia di pompe funebri, il cimitero e l’ospedale, mi hanno dato la sensazione di fare la madre.

Non potevo più occuparmi di loro come se fossero vive, ma potevo occuparmi di loro proprio come si fa per i morti. Così ho svolto il mio ruolo di genitore, nell’unico modo in  cui mi era ancora possibile e ho dato loro un posto in terra. Guardando le lapidi, mi è stato chiaro: sono esistite davvero, hanno avuto il loro tempo, seppur breve, e hanno il loro posto.

[…]

Ad un certo punto del mio lutto, ho avvertito il bisogno di raccogliere in una scatola, scelta per ognuna delle mie figlie, tutte le cose legate a loro. Questo bisogno si è trasformato in un vero e proprio progetto. Ho passato in rassegna tutte le foto scattate durante le gravidanze, ho scelto le migliori e le ho fatte stampare.

Mi sono ritagliata un tempo da dedicare alla scelta dei piccoli album, che avrebbero contenuto le nostre foto, e le scatole, che avrebbero raccolto tutti i nostri ricordi.

Decidere di compiere questi gesti, dedicare un tempo a questo progetto, materialmente muovere le mani nel realizzarlo, è stato per me di enorme sollievo.

Le cose delle mie figlie sono dentro una scatola verde e una celeste, ognuna porta impresso il loro nome. All’interno si trovano le nostre foto, le ecografie, gli esami, la tutina che avevo acquistato per una di loro. Ho scelto di riporre le scatole dentro un armadio, nel ripiano più

in alto. Per i primi tempi aprire quell’anta mi procurava una certa emozione, poi è diventato normale. Il ricordo delle mie figlie è nella mia casa, in mezzo alle mie cose di tutti i giorni, proprio come desideravo che fosse.”

Queste parole sono tratte da un libro molto speciale, che parla proprio di questo argomento.

Si intitola “Attraverso il lutto perinatale” ed è stato scritto da Erika Zerbini, una mamma che ha affrontato due morti endouterine e che ha scelto di rompere il silenzio sulla maternità interrotta, attraverso il suo blog e diverse pubblicazioni.

“Attraverso il lutto perinatale” è una sorta di manuale, per aiutare chi sta vivendo questa perdita a orientarsi in un dolore che soprattutto in Italia è ancora avvolto nei tabù.

In questo testo, con grande delicatezza, ma anche con la completa sincerità di chi ha vissuto la stessa esperienza, Erika mette in luce i nodi e gli aspetti meno noti del lutto perinatale.

Condividendo la sua storia e i racconti di chi ha affrontato questa pena, indagando nelle consuetudini antiche e moderne legate alla sepoltura dei piccoli nati morti e spiegando in modo chiaro le leggi e i termini da conoscere, tende la mano alle mamme e ai papà che stanno attraversando questo difficile momento.

Il testo è stato revisionato dalla psicologa Novella C. Buiani e contiene anche utili informazioni sui traumi legati al lutto perinatale e sul percorso di elaborazione del lutto attraverso le cinque fasi definite dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross (negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione).

Il libro presenta inoltre una sezione dedicata alla normativa, con la modulistica necessaria e tutti i passaggi pratici da compiere per occuparsi della sepoltura.

Sono molto contento di poterti presentare il lavoro di Erika, perché credo che il suo impegno sia prezioso nel sensibilizzare su una tematica così importante e mai abbastanza approfondita come il lutto perinatale.

Sono inoltre fiero che abbia inserito tra le fonti e in alcune citazioni il mio libro, “Quel che resta è l’amore”, che affronta la tematica del lutto da un’altra angolazione.

Rappresenta il mio personale contributo, per aiutare tutti coloro che stanno vivendo o si stanno preparando alla perdita di una persona cara (per esempio per una grave malattia).

Ho racchiuso in queste pagine tutta la mia esperienza al fianco delle famiglie in lutto e i miei studi di psicologia nel campo dell’elaborazione del lutto, per aiutare chi resta a passare attraverso la perdita in modo più dolce.

Se può esserti utile, puoi trovare la presentazione del libro qui.

1 commento

  1. Come affrontare la tragedia e aiutare gli altri ad affrontarla

    L’editore di Monaco ha pubblicato il libro intitolato “Ogni terza donna”. La scrittrice, ha dedicato il libro a tutti i bambini stellati e ai loro genitori.
    I bambini stellati in Germania vengono chiamati mai nati, quelli che sono morti durante il parto o quelli che sono deceduti poco dopo la loro nascita. Nel suo libro, la scrittrice dà voce alle donne che hanno perso i loro figli non ancora nati, ma non hanno rinunciato a una gravidanza con lieto fine, e anche al uomo che è sopravvissuto al dolore della interruzione della gravidanza della sua dolce meta. Queste storie dimostrano: coloro che hanno vissuto un trauma psicologico così grave dovrebbero assolutamente lavorarci su e non essere lasciati nella solitudine con il problema.
    La stessa scrittrice ha affrontato un problema simile ai suoi tempi. – “Mi dispiace signora, ma non sento più il battito cardiaco del feto”, la stessa è rimasta senza parole dopo le fatidiche parole del medico durante uno dei suoi controlli di routine. Come ammette l’autrice del libro, non aveva mai vissuto un tale shock.
    Gli specialisti della clinica di medicina riproduttiva del prof. Feskov hanno a che fare con storie simili ogni giorno e sanno quanto sia importante il sostegno per le famiglie che lo attraversano. Sono sempre pronti ad offrire soluzioni per coloro che sognano di diventare genitori.

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